
di Federico Del Prete*
Il sollievo per l’assenza di danni a persone in seguito al crollo della ‘corona’ della sede di Generali a Milano solleva qualche interrogativo in più del semplice ripristino del crollo. Ad esempio: le aziende che occupano in modo così totalizzante con il loro marchio l’orizzonte visivo della città, sono per questo soggette al pagamento di una tassa?
Se nel corso di un’iniziativa da svolgere nello spazio pubblico la stessa azienda volesse esporre il proprio marchio dovrebbe, in ragione della superficie occupata e della durata, pagare un corrispettivo al Comune di Milano, tanto più in quanto realtà profit. Che differenza c’è con un edificio che tutti i giorni svetta sull’orizzonte fino a oltre cento metri, imponendo a tutta la città la vista di un brand?
La colonizzazione dello spazio e dell’identità di un luogo da parte delle aziende, a proposito della Milano attuale, è sotto gli occhi di tutti: ogni nuovo edificio costruito porta con sé più o meno enormi esposizioni del marchio, una vera e propria forma di pubblicità non attesa e probabilmente tollerata, in assenza di regole. In altri paesi a vocazione capitalistica, questa abitudine è andata via via scomparendo (se mai fosse comparsa), prima di tutto per motivi di buon gusto, poi anche di opportunità. Se, ad esempio, l’esposizione collassasse, ci sarebbero evidenti danni di immagine – come in questo caso.
Andando oltre l’esposizione di marchi commerciali, ricordiamo che quando è necessario alterare il paesaggio – ad esempio per l’installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile – è giustamente necessario sottoporre alla Soprintendenza i termini di questa alterazione; come mai non è stato necessario anche in questo caso, dove viene oltretutto meno la pubblica utilità?
*responsabile Spazio Pubblico, Legambiente Lombardia