Martedì 20 dicembre ore 9.30 Cascina Nascosta, Milano

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Sono 5 milioni di Euro di danaro pubblico i fondi a disposizione per la rivitalizzazione dell’area del Monte San Primo, dopo l’abbandono sofferto negli scorsi decenni. Non convince Legambiente Lombardia, però, l’attuale proposta della Comunità Montana Triangolo Lariano e del Comune di Bellagio che nasce dall’idea di sfruttare la montagna usando schemi commerciali.
«È un progetto di impianti: portare l’acqua dove non ce ne è, produrre la neve dove non ne cade, spostare le persone su tapis roulant là dove possono muoversi liberamente con le loro gambe, intrattenere i bambini con strutture ludiche di plastica, come si trovano ovunque in pianura, costruire parcheggi per aprire la montagna alle automobili – spiega Costanza Panella, presidente del circolo Lario Sponda Orientale e membro del direttivo di Legambiente Lombardia – Il progetto deve essere radicalmente rivisto sulla base dell’esame di cosa sia la montagna oggi, di quale tipo di persone la frequentino, di che cosa possa offrire e di che cosa ha bisogno. La montagna ha bisogno di investimenti che ne garantiscano la vita con il sostegno all’agricoltura, all’allevamento, alla silvicoltura e al turismo rispettoso dell’ambiente».
Lo chiedono nell’appello oltre venti associazioni del coordinamento “Salviamo il Monte San Primo”, di cui Legambiente fa parte, che domenica 11 dicembre organizzano una Camminata sul Monte San Primo: un’iniziativa di sensibilizzazione in difesa della montagna contro il progetto di realizzazione di nuovi impianti. Il ritrovo è previsto per le 10 presso il parcheggio dei vecchi impianti (poco dopo località La Genzianella). La camminata è aperta a tutti e a partecipazione libera, si svolgerà lungo comode stradine su un dislivello di circa 200 m e sviluppo di circa 5 km. Si raccomanda abbigliamento invernale da montagna con scarponcini pesanti.
Il dossier Nevediversa 2022 di Legambiente ricorda che “Nella gran parte delle nostre montagne è atteso, rispetto a ora, un aumento di temperatura tra i 2 e i 3°C per il 2050, ed entro fine secolo un ulteriore riscaldamento che va dai 3 ai 7°C in funzione degli scenari di emissione. Nelle Alpi le temperature stanno crescendo a una velocità doppia rispetto alla media globale. La Regione Lombardia con il Bando Neve programmata h48 ha stanziato finora 11,2 milioni di Euro per il potenziamento dell’innevamento artificiale. Nella sola provincia di Lecco è in corso un ampliamento del comprensorio sciistico di Barzio e si preannuncia un progetto di nuove infrastrutture a Paglio a quota 1500 m. Per imbiancare artificialmente una pista di medie dimensioni di 1600 metri di lunghezza servono fino a 20.000 metri cubi di acqua. Per fornire energia elettrica ai cannoni si stimava, prima del caro bollette, un costo di 136.000 Euro per ettaro.
«Gli effetti generati dalla crisi climatica impongono una riflessione circa le tendenze future dello sviluppo in quota che sarà necessario orientare verso una maggiore qualità ecologica e sulla valorizzazione del capitale naturale. Il turismo legato allo sci, energivoro e impattante, che nel recente passato ha avuto un ruolo trainante per l’economia in montagna, deve essere rivisto. Le montagne, da meri luoghi di consumo, devono trasformarsi in sedi di elaborazioni innovative e sostenibili» conclude Panella.
Nella Giornata mondiale del Suolo – istituita dalla FAO per focalizzare l’attenzione sull’importanza della salute del suolo – Legambiente Lombardia rilancia l’allarme per la crescita sregolata del suolo consumato a uso immobiliare logistico, associato alle grandi infrastrutture di trasporto, come la BreBeMi, che intersecano la pianura a est e a sud del capoluogo regionale. Sono infatti queste le province della pianura in cui, secondo i dati di ISPRA (Istituto Nazionale per la Protezione dell’Ambiente), si misura la più allarmante crescita di consumo di suolo, con Brescia che consolida la propria posizione al vertice della classifica del cemento: quasi 900 ettari di suolo consumato negli ultimi 5 anni. È come se, nello stesso periodo di tempo, per ogni abitante della provincia si fosse costruita una formazione di cemento armato di 7,2 mq, più del doppio della media regionale ferma a 3,5 mq/abitante. Altro elemento allarmante è il ritmo accelerato con cui procede il consumo di suolo: sempre in provincia di Brescia, nell’ultimo anno sono scomparsi 307 ettari di suolo, ed anche se il dato va letto alla luce dell’inasprimento del fenomeno dopo il blocco legato alla pandemia del 2020, è un valore che eccede i livelli degli anni della ‘bolla’ speculativa del cemento registrata a inizio secolo.
«Chiediamo a Regione Lombardia di dare un seguito agli impegni votati due anni fa in Consiglio Regionale, intervenendo sul fenomeno immobiliare logistico, per evitare che continui ad alimentare urbanizzazioni espansive – dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia – dopo gli impegni solenni sulla necessità di impedire che i capannoni consumino nuovo suolo anziché riutilizzare le aree dismesse, nulla è stato fatto. E allo stesso tempo la regione continua a spingere infrastrutture stradali, come la Cremona-Mantova o la Vigevano-Malpensa, il cui vero obiettivo resta, all’opposto, quello di attrarre gli investimenti immobiliari dei grandi operatori logistici e commerciali».
Quando si parla di consumo di suolo, ci si riferisce principalmente alla scomparsa di suolo agricolo, che rappresenta il tema della Giornata mondiale del Suolo di quest’anno, in un momento di crisi globale degli approvvigionamenti alimentari la perdita definitiva di suoli coltivati è particolarmente grave. Ma la cementificazione, ricorda Legambiente, è solo una delle modalità con cui viene aggredita la capacità del suolo di produrre cibo in virtù della propria naturale fertilità. In particolare, quest’anno la FAO mette in guardia circa la crisi dei nutrienti del suolo, che determinano non solo le rese, ma anche la qualità nutrizionale delle materie alimentari ottenute dal suolo. La carenza di fertilizzanti è un tema che riguarda le agricolture di molti Paesi poveri, ma altrettanto serio è il problema opposto, ovvero l’eccesso di nutrienti, siano essi somministrati come fertilizzanti chimici o come materia organica ottenuta dalle deiezioni di allevamento. Se infatti i nutrienti apportati al suolo eccedono il fabbisogno delle colture, il suolo ne viene inquinato, e le conseguenze sono devastanti, non solo per il suolo ma anche per le acque, per l’inquinamento atmosferico e per il clima. L’azoto in eccesso fornito da fertilizzanti e deiezioni zootecniche, ad esempio, viene rilasciato sotto forma di nitrati, che inquinano le acque, oppure di inquinanti atmosferici, o ancora di un potentissimo gas serra, il protossido d’azoto (N2O). In Lombardia le emissioni di N2O prodotte dai suoli agricoli troppo fertilizzati valgono come 1,5 milioni di tonnellate di CO2. E non minore è il problema per l’inquinamento atmosferico. L’eccesso di azoto legato all’uso di urea e deiezioni zootecniche in Lombardia causa l’emissione in atmosfera di ben 88.000 tonnellate di ammoniaca, il gas che costituisce ormai la principale causa della formazione dell’inquinamento da polveri sottili: le emissioni inquinanti dell’agricoltura lombarda sono infatti al centro dell’indagine del progetto INHALE, una attività di ricerca svolta da Università Bocconi e dal Centro Mediterraneo sul Cambiamento Climatico, a cui anche Legambiente Lombardia collabora, da cui emerge come anche nelle città ormai si rilevano gli effetti dell’inquinamento da fonti agricole.
«La cattiva salute del suolo, oltre a minacciarne a lungo termine la fertilità, ammala gli ecosistemi e colpisce direttamente la salute umana – dichiara Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia – e purtroppo in Italia sono proprio i suoli agricoli lombardi quelli più colpiti dall’eccesso di nutrienti legato alle somministrazioni di fertilizzanti chimici e deiezioni zootecniche. Occorre usare al meglio le risorse della nuova programmazione della PAC 2023-2027 per aumentare la sostenibilità dell’agricoltura e soprattutto della zootecnia lombarda, riportando queste attività ad un rapporto equilibrato con il suolo, riducendo gli eccessi produttivi e perseguendo l’obiettivo di riduzione dell’impiego di fertilizzanti indicati dalla strategia Farm to Fork nell’ambito del Green Deal europeo».
È ancora un no, secco e deciso, quello delle associazioni ambientaliste di cui Legambiente Lombardia è parte e dei comitati locali al collegamento ferroviario Gallarate-Malpensa per il terminal 2 dell’aeroporto. Il raccordo Malpensa T2 – Linea RFI del Sempione eliminerà l’unico bosco esistente a nord-est di Malpensa oltre all’abbattimento di circa 100 tigli nel viale storico del Sempione. Non sono servite a fermare il progetto segnalazioni, opposizioni e il ricorso da parte di Legambiente Lombardia e del circolo Legambiente di Gallarate al Tar della Lombardia.
«Regione Lombardia non ha mai valutato né considerato il potenziamento del servizio sul raccordo che da Nord già esiste attraverso il passante di Busto Arsizio – dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia –. Solo 10 minuti abbreviano il tempo dei viaggiatori verso l’aeroporto, in compenso si spendono 210 milioni di euro, 37 milioni a km. Non solo non sappiamo ancora se davvero sarà utile ai passeggeri ma sicuramente non servirà alle merci, visto che non è prevista un’area dedicata allo scalo merci trasportate su ferro».
Un aggravio, secondo Legambiente Lombardia, per il territorio che già sconta la realizzazione di numerose altre infrastrutture di collegamento a Malpensa, previste da tempo: il collegamento Pedemontana-336, la tangenziale di Samarate, la tangenziale di Arsago e Somma, interventi definiti di “compensazione” donati ai Comuni dell’intorno aeroportuale per l’ampliamento di Malpensa, quando essi stessi richiederebbero una compensazione ambientale.
«Tutte opere mai valutate nel loro devastante insieme, tranne che dalla VAS volontaria e partecipata, pagata da tutti i Comuni del Parco Ticino e realizzata a metà degli anni 2000. Già allora il giudizio fu negativo, sebbene lo studio non comprendesse tutte le opere oggi in programma” – prosegue Meggetto –. Perché Regione Lombardia ha consentito che venissero approvate un’opera alla volta, nel loro limitato ambito particolare senza avere un piano d’area complessivo?»
Alle opere infrastrutturali, si aggiunge anche un ulteriore consumo di suolo con i grandi capannoni previsti a Ferno e a Lonate Pozzolo, aree di estrema importanza per la mitigazione ambientale, oggi in fase d’approvazione presso gli stessi comuni. Uno sfruttamento del territorio che pare non avere mai fine, sottolineano dall’associazione ambientalista.
Da un anno la pianura padana è drammaticamente assetata. I primi segnali di scarsità di acqua sono iniziati proprio nell’autunno scorso e si sono protratti per tutto il 2022. Da gennaio a ottobre, in particolare, è caduta meno della metà della pioggia del 2021. Secondo i dati delle stazioni meteorologiche della fondazione OMD (Osservatorio Meteo Milano Duomo) a Milano, negli ultimi 12 mesi, sono caduti 348 mm di pioggia. È un valore medio, tra il minimo di 315 mm misurati alla centralina Bocconi e il massimo di 396 a Bovisa, ma in ogni caso si tratta di poco più di un terzo della pioggia che normalmente cade in un anno sul capoluogo lombardo, un valore molto inferiore alla piovosità annuale di città delle sponde meridionali del Mediterraneo come Atene, Rabat o Tunisi, e che eguaglia quello di città che sorgono ai bordi del deserto del Sahara, come Tripoli in Libia.
È andata anche peggio nella bassa pianura, tra il pavese e la provincia di Alessandria, dove secondo i rilevamenti della rete del Centro Meteorologico Lombardo molte località non hanno nemmeno raggiunto i 300 mm di pioggia: dati lontanissimi da quelli tipici di una pianura alluvionale dell’Europa centro-meridionale. Che peraltro non sono molto differenti da quelli di molte località d’oltralpe, in Francia e Spagna, per esempio, che quest’anno hanno vissuto episodi di caldo e assenza di piogge anche più estesi e intensi di quelli della Pianura Padana occidentale.
Il deficit idrico continua ad essere allarmante: nonostante l’autunno abbia riportato le piogge sulla montagna alpina, infatti, ARPA certifica che nei laghi prealpini, dal Maggiore al Garda, manchi ancora oltre la metà della scorta idrica che normalmente si misura in questa stagione: servirà dunque un inverno molto più piovoso e nevoso della media per poter rifornire di acqua i sistemi irrigui della prossima annata agricola. In particolare, secondo i dati diffusi dai gestori dei laghi lombardi, a fronte di una capacità d’invaso pari a 1245 milioni di mc, il riempimento dei grandi laghi è pari solo al 27%, corrispondente a 330 milioni di mc. Normalmente in questa stagione gli stessi laghi sono pieni al 67%, dunque mancano all’appello circa 500 milioni di mc d’acqua, a cui si somma un deficit di altri 200 milioni di mc d’acqua nei bacini idroelettrici montani.
«Rivolgiamo l’appello agli amministratori delle nostre città, così come ai candidati alle prossime elezioni regionali, di mettere la sfida climatica in cima alle priorità delle azioni di governo – dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia – sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica è tempo di correre, velocizzando le procedure autorizzative, e allo stesso tempo occorre mettere in campo decise misure di adattamento, per tutelare la qualità della vita delle nostre città ma anche per mettere al sicuro le produzioni agricole, che oggi non sono adeguate al nuovo contesto climatico».
L’auspicio è che si tratti di un record climatico e non di una “nuova normalità” con cui fare i conti, ma in ogni caso si tratta di un fortissimo campanello d’allarme: il cambiamento climatico non è più un fenomeno osservabile solo con i sensibilissimi sensori delle stazioni meteo, ma è ormai una realtà che bussa alle nostre porte in modo sempre più preoccupante, causando danni agli ecosistemi, alla salute umana e all’economia.