I grandi invasi sono una risorsa essenziale per la sicurezza energetica e l’approvvigionamento idrico, ma tra obsolescenza strutturale e concessioni scadute il sistema delle dighe e delle infrastrutture idriche lombarde è in stallo

Grandi dighe in Lombardia: siamo al sicuro a 100 anni dalla tragedia del Gleno?

I grandi invasi sono una risorsa essenziale per la sicurezza energetica e l’approvvigionamento idrico, ma tra obsolescenza strutturale e concessioni scadute il sistema delle dighe e delle infrastrutture idriche lombarde è in stallo

Legambiente: “Il rinnovo delle grandi concessioni idroelettriche è una priorità assoluta, sia per il sistema energetico sia per la sicurezza della popolazione”

La diga di Gleno prima del collasso (1923)

Il 1° dicembre è una data funesta per le popolazioni della Val di Scalve e della Bassa Valle Camonica. Il primo dicembre di un secolo fa, nel 1923, la muraglia alta cinquantadue metri della Diga del Gleno, in alta Val di Scalve (BG), appena completata, collassò nella notte, riversando sei milioni di metri cubi d’acqua sugli abitati sottostanti, da Dezzo a Boario Terme e da lì al Lago d’Iseo. Si contarono trecento cinquantasei vittime, ma molti furono i dispersi.

Purtroppo, non fu l’unico del suo genere. Nel XX° Secolo quasi tremila persone hanno perso la vita nel Nord Italia per disastri collegati ai grandi invasi artificiali: oltre all’evento più drammatico, quello del Vajont (1917 vittime), ricordiamo quello di Molare (Valle dell’Orba, AL, 1935, 111 vittime) e quello della Val di Stava (Stava, TN, 1985, 268 vittime).

Di certo in Lombardia il ‘rischio dighe’ è un grande tema di sicurezza, per la combinazione potenzialmente esplosiva tra elevata densità di popolazione e numero di grandi manufatti di sbarramento: tra questi, ben settantasette sono classificati come ‘grandi dighe’, numero che fa della Lombardia la prima regione italiana quanto a numero di queste imponenti strutture, ed anche la prima regione quanto a volume di invaso, per oltre 2 Mld di metri cubi di acqua.

Al volume di acque invasabili concorre anche quello dei grandi laghi regolati (Maggiore, Como, Iseo, Idro e Garda), il cui livello è presidiato da dighe posizionate sugli emissari che modulano il rilascio o l’accumulo, all’interno di questi stessi laghi naturali, di un volume pari complessivamente a circa 1,2 miliardi di mc. L’importanza del sistema idroelettrico regionale si rileva anche dalla potenza elettrica installata, che di nuovo vede la Lombardia come prima regione, con 5,7 GW, pari a oltre un quarto di tutta la potenza idroelettrica installata in Italia.

Il dato più negativo resta però quello della gestione: delle settantaquattro concessioni mediante le quali il patrimonio delle infrastrutture, dighe incluse, è stato affidato alla gestione di grandi utility energetiche, ventidue sono già scadute e oggi operative in regime di proroga, mentre altre quarantuno scadranno entro il 2029.

Anche se non vi sono ragioni di dubitare della perizia con cui i gestori presidiano la sicurezza degli impianti, di certo la situazione è sfavorevole a tutti i possibili investimenti in un settore altamente strategico, inclusi quelli per la razionalizzazione e il miglioramento della sicurezza degli impianti.

“È urgente che si proceda a una rapida riassegnazione, tramite gara, di concessioni di durata sufficientemente lunga da consentire agli operatori di valutare e programmare tutti gli investimenti necessari,” dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia. “Sia per ottimizzare la produzione, per renderla complementare alla crescita di produzione da altre energie rinnovabili ‘discontinue’, sia per conseguire elevati livelli di sicurezza e tutela delle popolazioni esposte a possibili collassi delle strutture”

I dati delle grandi dighe lombarde forniscono, oltre al dato quantitativo, anche l’evidenza di un sistema infrastrutturale molto stagionato. L’età media di 80 anni (significativamente più alta della media nazionale) per le grandi dighe lombarde è un dato su cui non è possibile dormire sonni tranquilli: stiamo parlando di opere che hanno in gran parte superato la durata programmata dell’investimento iniziale, e che pertanto richiedono un alto livello di monitoraggio, manutenzione, vigilanza tanto sull’opera principale quanto su quelle accessorie, quali i canali di gronda (citiamo il recentissimo caso del cedimento del canale di gronda ad Ardesio, in Val Seriana, avvenuto lo scorso aprile, che solo per miracolo non ha causato danni alle persone). Senza contare che gli 80 anni sono appunto una media: vi contribuisce tanto un pezzo da museo dell’idraulica, rappresentato dal manufatto di regolazione del Lago di Pusiano, ultimato nel 1811, quanto l’opera più recente, la diga di Malnate (VA) ai Molini di Gurone, realizzata al solo fine di laminare le piene del fiume Olona. Ma è dal primo dopoguerra che i cantieri si impossessano delle alte valli alpine: sono ancora al loro posto le dighe realizzate negli anni ‘20 e ’30 del Novecento: si tratta di trentatré dighe, prevalentemente per produzione idroelettrica, che stanno per raggiungere, o lo hanno già fatto, il secolo di onorato servizio.

Nei decenni successivi, altri grandi sbarramenti sono entrati in esercizio per sostenere la crescente domanda di energia, in particolare quella legata al boom economico del secondo dopoguerra. Le ultime dighe realizzate sono state quelle che definiscono il bacino del Lago Delio, in provincia di Varese, ultimate nel 1973. Dopo quell’anno, l’unica grande diga realizzata è stata quella del bacino di valle di Edolo, una grande vasca necessaria al funzionamento del sistema di pompaggio della centrale idroelettrica che sfrutta le acque del sovrastante lago artificiale di Avio.

L’età è ovviamente un parametro importante per la sicurezza di manufatti soggetti a forti sollecitazioni (alcune dighe sono collocate in aree di sismicità medio-alta, come nel caso della diga di Ponte Cola, che forma il lago di Valvestino nelle montagne dell’Alto Garda), anche perché le dighe più vecchie sono state realizzate in base a progetti che oggi verrebbero considerati obsoleti, per standard di sicurezza e per conoscenza delle variabili geologiche e idrologiche rispetto a quelle disponibili oggi. Vi è poi da considerare l’esito di fenomeni progressivi e inevitabili, come il trasporto e la sedimentazione di solidi a monte dello sbarramento, che riduce il volume utile dei bacini e aumenta le sollecitazioni a cui sono sottoposte le dighe. La rimozione dei sedimenti costituisce una ulteriore gravosa ma necessaria incombenza, che deve essere attentamente gestita e programmata per limitare i danni ai corsi d’acqua sottostanti da parte dei limi rilasciati con le opere di svaso.

Il sistema delle grandi dighe e delle connesse opere idrauliche rappresenta una struttura complessa e bisognosa di continui interventi, per questo è fondamentale che vi siano orizzonti di certezza per quanto riguarda gli operatori e gli investimenti necessari ad assicurare l’opera di presidio.

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