Legambiente: ”Seveso ha tracciato una linea di confine nella crescita di consapevolezza della popolazione, nel movimento ambientalista, nella cultura della prevenzione e della salute, nella sicurezza dentro e fuori dalle fabbriche.”

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Verso mezzogiorno del 10 luglio 1976, una nube tossica, contenente diossina, si sprigionò dalla fabbrica ICMESA di Meda, investendo i comuni circostanti, in particolare la confinante Seveso, il cui territorio risultò il più colpito dalla ricaduta di sostanze chimiche, che investirono anche Cesano Maderno, Bovisio Masciago e Desio.
A quasi mezzo secolo di distanza per Legambiente è il momento di tracciare un bilancio guardando al futuro. Non solo degli effetti ambientali e sanitari di quell’evento ma anche di ciò che ha provocato sul territorio e nella coscienza collettiva. Seveso ha tracciato una linea di confine nella crescita di consapevolezza della popolazione, nel movimento ambientalista, nella cultura della prevenzione e della salute, nella sicurezza dentro e fuori dalle fabbriche.
“L’evento di Seveso si presentò da subito come un incidente ma, con il passare di giorni sempre più concitati, divenne presto innegabile che il termine più appropriato per descriverlo fosse quello di crimine,” commenta Barbara Meggetto, Presidente di Legambiente Lombardia.“La segretezza delle produzioni e la mancata condivisione delle conoscenze dei rischi, l’assenza di presidi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e del territorio, il negazionismo e la minimizzazione sulle informazioni scientifiche già allora disponibili appartenevano al modo corrente di svolgere attività industriale.”
La mancanza di un quadro di norme sul rischio industriale permise di farlo in modo legale ma non per questo legittimo, al punto che la rivista Sapere, pochi mesi dopo, sentenziò che l’evento fosse un “crimine di pace”, raccogliendo il lavoro di minuziosa analisi delle conoscenze e dei dati a cui si era dedicato un Comitato tecnico scientifico popolare, che teneva insieme operai della fabbrica, attivisti locali, cittadini interessati ad approfondire le loro informazioni ed esperti tra cui quelli che verranno in seguito ricordati tra i fondatori della nascente epidemiologia ambientale.
L’evento di Seveso impose alla comunità internazionale, e in particolare all’Europa, l’esigenza di scrivere regole sulla sicurezza nelle fabbriche e nei territori circostanti. Norme che oggi, seppur presenti, spesso nascondono inadempienze e mancate applicazioni, con un rischio per i lavoratori ancora troppo alto. Nei territori invece, i piani di emergenza, in caso di incidente rilevante, non hanno visto il coinvolgimento delle comunità locali esposte al rischio, venendo meno così a una forte indicazione della Direttiva Seveso.
“Purtroppo all’orizzonte si sono affacciate nuove e anche più inquietanti minacce,” spiega Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. “Dalla crisi climatica alla perdita di biodiversità e a sempre maggiore consapevolezza sugli inquinanti emergenti, che vengono affrontate da una parte crescente della politica con lo stesso atteggiamento negazionista o minimizzatore dei costi ambientali che faceva parte del brodo di coltura in cui si affermava lo sviluppo industriale fino agli Anni Settanta.”
Memore del grande esperimento politico e sociale del “Comitato Tecnico Scientifico Popolare” che animò la comunità di Seveso negli anni ’70, Legambiente Lombardia rilancia, guardando alla prossima scadenza del cinquantenario.
“Perdere l’enorme patrimonio umano e scientifico che il disastro di Seveso ha lasciato in dote all’ambientalismo contemporaneo, sarebbe grave,” continua Di Simine. “Per questo, stiamo pensando di utilizzare i prossimi mesi per attivare un’esperienza collettiva e popolare che estenda il lavoro svolto dal circolo Legambiente di Seveso fin dalla sua origine nella relazione con altre realtà locali, e si faccia carico della trasmissione di queste esperienze alle nuove generazioni, ma anche di smascherare ogni forma di negazionismo e falsificazionismo ambientale e climatico.”
L’evento di Seveso è stato anche un primo grande laboratorio di bonifica ambientale, sui terreni investiti dalla ricaduta tossica. Oggi su quei terreni cresce il Bosco delle Querce, che nel frattempo è stato riconosciuto come Parco Regionalee in cui, da oltre venti anni Legambiente, locale e regionale, ha incontrato e coinvolto migliaia di studenti del territorio, delegazioni internazionali, universitari, con un lavoro di qualità e serietà, per mantenere sempre viva la memoria dei luoghi e l’educazione alla sostenibilità. In questo Bosco, su impulso di Legambiente, negli anni 2000 è stato realizzato un Percorso della Memoria nato dal basso e rilanciato oggi da un progetto sostenuto da Regione Lombardia che vede l’operare di una rete di soggetti territoriali del terzo settore.
Tuttavia, l’enorme valore anche simbolico del Bosco delle Querce non garantisce la sua tutela: ne è testimonianza il gigantesco cantiere di Pedemontana, che in questi giorni sta intaccando in modo molto rilevante l’integrità di quello che dovrebbe essere un Parco Naturale: è chiaro che oggi la scommessa di un recupero del territorio non può più essere contenuta nel recinto che delimita quell’area, ma ha bisogno di estendersi e connettersi alle altre aree protette della Brianza e dell’hinterland milanese.
“I primi 50 anni dal disastro di Seveso sono serviti a bonificare l’area più inquinata e a farne un bosco, nei prossimi 50 anni crediamo che questa esperienza virtuosa debba fare un salto di scala,” dichiara Maurizio Zilio, presidente del Circolo Legambiente Laura Conti di Seveso. “Tutto questo territorio deve riemergere da una lunghissima stagione di inquinamento, degrado urbanistico, consumo di suolo.”
Per questo occorre lavorare sulla costituzione, a partire dal Bosco delle Querce, di un grande Parco regionale fluviale e territoriale del Seveso e della Brianza, che prosegua l’azione di risanamento del fiume ancora interessato nel suo percorso brianzolo da scarichi fognari pubblici (sfioratori di piena), nel ripristino della naturalità dell’alveo e delle aree golenali, nel rallentamento del deflusso delle acque meteoriche dei territori adiacenti all’alveo, riportando l’ambiente naturale nel cuore dell’area più densamente popolata della maggior metropoli italiana, e soprattutto impedendo che nuovi scempi, ultimo quello di Pedemontana, possano ancora abbattersi su questo territorio.