Peste suina a rischio di dilagare in lombardia

La caccia al cinghiale rischia solo di peggiorare la situazione: la priorità è proteggere gli allevamenti e prevenire la diffusione del virus, anche con la collaborazione delle università

L’ennesima ordinanza del Commissario Straordinario per la lotta alla peste suina africana, la numero 5 del 2023, pubblicata ieri sulla Gazzetta Ufficiale, è spia della crescente preoccupazione che accompagna il propagarsi dei casi di malattia, sempre più prossimi alla grande concentrazione che fa della Lombardia la maggior concentrazione di suini allevati in Italia. Quella che si fatica ancora a cogliere è una strategia chiara. La politica sta scegliendo di mettere in campo improbabili azioni di controllo dei suini selvatici che rischiano di essere pezze peggiori del buco. Nella montagna e collina dell’Oltrepo’ pavese, in particolare, le attività di abbattimento hanno probabilmente portato ad una riduzione delle popolazioni di cinghiali, ma più per la dispersione dei capi verso altri territori, dalla pianura alle valli piacentine, che per i capi effettivamente abbattuti. E la dispersione dei capi selvatici è proprio quello che andrebbe evitato in presenza di un rischio di diffusione epidemica.

“Con gli allevamenti colpiti nel pavese, la diffusione del contagio alle aree degli allevamenti intensivi che riforniscono le maggiori DOP nazionali sembra essere solo una questione di tempo – dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia – è il momento di intensificare la prevenzione e i controlli sanitari negli allevamenti, mentre le misure nei confronti degli animali selvatici dovrebbero puntare ad evitarne la dispersione, più che ad attivare azioni di contenimento per le quali occorrono tempi, risorse e personale che non sono compatibili con la velocità di propagazione dell’epidemia”

Per Legambiente nelle zone di maggior rischio di propagazione non è il momento di mobilitare eserciti di cacciatori, ma al contrario quello di vietare sia la caccia, specie quella in forma collettiva, sia tutte quelle attività, come gli sport motoristici e la circolazione fuori strada, che possono spaventare la fauna selvatica e spingerla a spostarsi verso territori non ancora colpiti dall’epidemia. “La nuova ordinanza continua a non individuare una chiara catena di comando e sembra preoccuparsi più di disciplinare le deroghe che di dettare limitazioni efficaci rispetto ai comportamenti a rischio di facilitare la diffusione del virus– afferma Patrizio Dolcini, del circolo Legambiente Oltrepò – occorre un governo competente di una situazione che rischia di sfuggire di mano, per questo più che affidarsi ai cacciatori è indispensabile coinvolgere le università, soprattutto per gli aspetti di gestione della fauna selvatica”

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